Aprirà al pubblico il 5 settembre 2018 a Mantova, in concomitanza con il Festivaletteratura, la mostra dedicata a Marc Chagall (Vitebsk, 7 luglio 1887 – Saint-Paul-de-Vence, 28 marzo 1985) il pittore che insieme a Picasso e Robert Delaunay ha forse ispirato il maggior numero di poeti, scrittori e critici militanti del Novecento.
La mostra a cura di Gabriella Di Milia, in collaborazione con la Galleria di Stato Tretjakov di Mosca, è promossa dal Comune di Mantova e organizzata e prodotta con la casa editrice Electa ed è stata presentata mercoledì 11 luglio alla Triennale di Milano dal sindaco di Mantova Mattia Palazzi, dalla curatrice Gabriella Di Milia e da Rossana Cappelli di Electa.
“Finalmente, dopo 19 anni torneranno in Italia anche i teleri di Chagall – ha dichiarato il sindaco di Mantova Mattia Palazzi -. E’ originale anche il periodo della mostra, da settembre a gennaio, una scommessa che destagionalizza il turismo a Mantova e fa conoscere la città in mesi in cui viene meno visitata. Chagall, dunque, aiuta e promuove l’economia mantovana. L'aspetto espositivo resta importante per Mantova, ritengo che insieme alla modernizzazione dei servizi offerti ai turisti, sia un investimento fondamentale per rilanciare la nostra città”.
L’esposizione “Marc Chagall come nella pittura, così nella poesia” sarà allestita a Palazzo della Ragione, monumento medievale che sorge nel cuore della città, decorato con straordinari cicli di affreschi, per secoli centro del potere civico di Mantova. Il Palazzo sarà restituito alla città proprio a settembre, dopo un lungo e complesso intervento di valorizzazione che consentirà di ospitare un palinsesto di attività culturali ricco e qualificato.
In particolare il Comune di Mantova ha inaugurato con la casa editrice Electa una programmazione espositiva triennale dedicata al Novecento, di cui Chagall è la prima tappa. La mostra espone oltre 130 opere tra cui il ciclo completo dei 7 teleri dipinti da Chagall nel 1920 per il Teatro ebraico da camera di Mosca: opere straordinarie che rappresentano il momento più rivoluzionario e meno nostalgico del suo percorso artistico.
I relatori hanno ricordato che i teleri costituiscono un prestito eccezionale della Galleria di Stato Tretjakov di Mosca, di assai rara presenza in Italia: furono esposti a Milano nel 1994 e a Roma nel 1999 dopo le esposizioni del 1992 al Guggenheim di New York e del 1993 al The Art Institute di Chicago.
Il progetto espositivo proporrà, attorno alle sette opere, la ricostruzione dell’environment del Teatro ebraico da camera, ossia una “scatola” di circa 40 metri quadrati di superficie, per cui Chagall aveva realizzato, oltre ai dipinti parietali, le decorazioni per il soffitto, il sipario, insieme a costumi e scenografie per tre opere teatrali.
Una selezione di opere emblematiche (dipinti e acquerelli) di Marc Chagall degli anni 1911 – 1918 accompagnerà l’allestimento immersivo del Teatro ebraico da camera, insieme a una serie di acqueforti, eseguite tra il 1923 e il 1939, tra cui le illustrazioni per le Anime morte di Gogol’, per le Favole di La Fontaine e per la Bibbia. Le incisioni si inseriscono nel percorso espositivo a testimoniare lo stretto rapporto tra arte e letteratura nel periodo delle avanguardie.
La mostra sarà accompagnata da un catalogo edito da Electa che, oltre a restituire le influenze e contaminazioni artistiche e culturali che Chagall assorbì vivendo a Vitebsk, San Pietroburgo, Parigi e Mosca, racconta la fascinazione che il pittore russo esercitò su poeti, artisti, letterati dell’inizio del secolo scorso.
Il volume raccoglierà, per la prima volta tradotti, i principali testi letterari e poetici che, sull’artista, hanno scritto critici, intellettuali e poeti del suo tempo.
La pittrice Marevna descrive Chagall a Parigi dove si trasferì nel 1910 come un personaggio unico: “Estremamente seducente, sicuro di sé e pieno d’ambizione, abbandona molto presto il gruppo degli emigrati per avvicinarsi all’ambiente dell’avanguardia internazionale. I suoi amici sono: scrittori progressisti come Apollinaire e Ricciotto, Canudo e i cubisti di Montparnasse, vicini a Robert Delaunay”.
Chagall e le Avanguardie
Trasferitosi a Parigi dal 1910, Chagall non può abbandonare i ricordi della vita a Vitebsk, perché i suoi sentimenti si sono sviluppati e raffinati nella sofferenza ebraica. Ma poteva correre il pericolo di essere sopraffatto dai suoi inquietanti fantasmi. Cerca perciò una soluzione di ordine formale nel linguaggio dell’avanguardia.
Pur mantenendo un interesse preminente per i suoi soggetti, adotta la libertà di mezzi del cubismo e, svuotando la forma geometrica di tutto quel che poteva ricondurre al reale, riesce a rimanere fedele al modo di vedere, sentire e immaginare della sua infanzia e giovinezza. La sua pittura non avrà altre prospettive, egli rimarrà per tutto il corso della sua vita fermo nella decisione di restare il pittore che è nato.
Chagall, infatti, non si è mai inserito in una corrente artistica fermandovisi e compiendo una scelta definitiva.
Il legame con la tradizione russa, ebraica orientale e, nello stesso tempo, il desiderio di non sentirsi completamente escluso dalla vitalità delle nuove proposte dell’arte occidentale lo hanno spinto ad accostare culture e stili lontani. Villaggi dipinti con una elementarità volutamente infantile, suppellettili dall’aspetto naif - come nelle insegne delle botteghe della provincia russa, collezionate da lui stesso e dai cubo-futuristi russi -, associati a virtuosistiche scomposizioni, a invenzioni geometriche, costituiscono una ricorrente aneddotica che sembra insinuarsi per squilibrare il più possibile un quadro e che non vi riesce quasi mai perché ricomposta in un imprevedibile ordito. La scomposizione serve all’artista per sviluppare un linguaggio otticamente associativo, commisurato al linguaggio del sogno.
Lo stesso si può affermare per i simultanei e trasparenti contrasti cromatici attinti alla pittura di Sonia e Robert, Delaunay. Gli oggetti, gli animali, i personaggi, ingranditi o miniaturizzati, divengono catalizzatori di stati d’animo, di associazioni insolite, le loro superfici non sono dinamizzate e scomposte per creare effetti di movimento ma per rompere una rigida compattezza e conferire alle immagini una ambiguità evocativa che rende ogni cosa sconosciuta.
Così come nella sperimentazione dei dipinti per il Teatro ebraico di Mosca, nei quali le scansioni cromatiche non costituiscono una completa adesione di Chagall all’astrattismo e al suprematismo, che l’artista considera, come il cubismo, troppo realista. Un triangolo, un cerchio, un quadrato, sono per lui oggetti. Al suo avversario Malevič pare che abbia detto: “Un quadrato, posso sedermi sopra, comprende mio caro: un quadrato è un oggetto”.
Il Teatro ebraico da camera di Mosca
Dopo i fondali celebrativi del primo anniversario della rivoluzione d’ottobre, eseguiti da Chagall a Vitebsk nel 1918, per la seconda volta l’artista realizza un’opera di carattere collettivo, dedicata alla realtà teatrale così concentrata sull’arte delle apparenze.
I teleri di Chagall per l’esordiente Teatro ebraico da camera di Mosca (1920) costituirono una rara opportunità, non solo per le dimensioni notevoli ma anche perché anticiparono i programmi innovatori che il regista Aleksej Granovskij si proponeva. L’esigenza di collegarsi all’attualità liberò inoltre l’autore da quel senso di nostalgia che spesso predominava nei suoi stati d’animo. Nel ciclo pittorico il teatro si identifica con la festa della rivoluzione d’ottobre vissuta da Chagall come rinnovamento e affermazione della massima libertà individuale.
Nel grande pannello “Introduzione al teatro ebraico”, che occupava la parete sinistra della platea, si avverte subito che Chagall si è svincolato dal quel che era diventato il suo modo abituale di fare pittura, sperimentando metodi più sintetici e immediati. Le strisce del fondo, che si intersecano in settori curvilinei, sono modulate dal nero alle più impalpabili, chiarissime tinte. Sono geometrie che dividono in comparti i singoli protagonisti di una grande parata e, nello stesso tempo, li tengono insieme. La parte sinistra del dipinto, con il gruppo dei ritratti a grandezza naturale dei personaggi attivi nell’impresa: dal regista Granovskij al critico Efros, agli attori, è scherzosa, come per sdrammatizzare le difficoltà da affrontare. Lo stesso Chagall, portato in braccio da Efros, appare il simbolo di un atteggiamento battagliero. L’artista mette insieme gesti, caratteri, funzioni, situazioni di una umanità che vive l’incerto presente, coinvolta in incidenti di ogni tipo e condizionata da manie che la fanno apparire isolata nella bizzarria di una nuova condizione. Volendo accettare tutti gli elementi contraddittori di un momento storico colmo di interrogativi l’artista doveva sentirsi fortemente combattuto. Probabilmente riuscì a contenere tutte le spinte contrarie e opposte per la sua vicinanza al chassidismo, il movimento mistico ebraico che gli suggerì i modi di affrontare le difficoltà della vita quotidiana insieme a tutto il grande subbuglio psicologico di quegli anni russi brulicanti di violenza e sogni impossibili. La saggezza chassidica cresceva nella gioia piena della vita, alla tavola del rabbino nei giorni di festa, mediante sentenze, epigrammi, leggende, improvvisazioni esegetiche che puntavano alla redenzione dal peccato con il paradosso e l’ironia. Oppure nelle capriole per le vie e nei mercati che esprimevamo la fiducia nell’emozione spontanea come mezzo di comunicazione con Dio.
Nello spazio di massima evanescenza a destra, i tre saltimbanchi, che ricordano i pagliacci del teatro popolare ebraico, sono degli svitati, dei folli di Dio, che uniscono santità e allegria. Questa parete dipinta con pennellate leggere ed euforiche indica che qualcosa di nuovo è avvenuto nella mente dell’artista e che egli è pronto a realizzare nuovi capolavori.
Nel teatro erano situati, sulla parete di destra, i quattro quadri raffiguranti le Arti personificate: la Musica rappresentata da un violinista mefistofelico, la Danza da una mastodontica ballerina, il Teatro dal Badchan, l’animatore di matrimoni ebrei e, infine, La Letteratura dalla figura tutta bianca dello scriba-poeta. I pannelli sono sormontati da una striscia di simboli commestibili e terribili. È questo il Fregio che rappresenta il banchetto nuziale in cui, accanto a pesci, pani, frutta e galli vivi, si serve anche un amante defunto, per accennare forse al fatto che il vecchio teatro ebraico sarebbe stato soppiantato da una poetica dell’assurdo.
Dirigendosi verso la porta d’uscita della sala gli spettatori potevano osservare il dipinto” Amore sulla scena”, opera in cui è evidente sino a che punto Chagall poteva spingersi nell’uso di elementi non oggettivi rimanendo il pittore delle suggestive immagini psichiche, a doppio senso.